SAGG Napoli
Early is on time, on time is late, and late is unacceptable, but yet ’m scord’ ’e te scurdà
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Per la sua prima mostra personale a Milano, SAGG Napoli affronta il tema della dipendenza, dopo diversi anni di lavoro con il tiro con l’arco come disciplina fisica e pratica concettuale. Dal 2020, l’artista ha esplorato il tiro con l’arco non solo come sport, ma anche come struttura attraverso cui riflettere sulla concentrazione, sulla resistenza e sul confronto tra corpo e mente. In questo nuovo corpus di opere, SAGG Napoli estende tale ricerca al territorio della memoria, del dolore e della ricaduta — tracciando come la lotta personale possa trasformarsi in un linguaggio di resilienza e attenzione.
La mia memoria? Non fidarti. Il dolore ci ha giocato sopra, remixando la verità fino al punto che non so più distinguere ciò che è accaduto da ciò che temevo soltanto potesse accadere.
Ho avuto difficoltà con la memoria, quindi scrivo tutto. Fotografo quasi tutto.
È diventata una disciplina: la disciplina della contraddizione, o forse la disciplina di lavorare su di sé attraverso la contraddizione.
Ho dovuto lavorare sulla dipendenza. Ho dovuto capire con quali dipendenze potevo convivere e quali dovevo tagliare fuori. È un processo continuo. A volte mi limito a sedermi e guardarmi essere una versione di me stessa di cui non vado fiera. Ma alla fine ci torno sopra. Perché la verità è che: abbiamo davvero la forza di lavorare su noi stessi.
A volte si tratta di raccogliere energia. A volte di accumulare conoscenza. A volte di appoggiarsi a un sistema di sostegno. A volte di accettare la ricaduta. E a volte di ammettere che non abbiamo ancora gli strumenti giusti.
È molto umano — una volta raggiunto uno stadio in cui ci si sente bene — voler credere di essere “arrivati”, che il lavoro sia finito. Ma io non desidero nemmeno che sia così. Non c’è nulla di più umiliante del sapere che non ci si arriverà mai del tutto, che anche la manutenzione è una forma di lavoro, continuo e attivo.
La buona notizia: col tempo diventa più facile. Gli esseri umani sono incredibilmente adattabili — se lo vogliamo. Una cosa, però, a cui non riesco ancora ad abituarmi è il dolore. Per me, il dolore è sempre stato un catalizzatore. In
parte è questione di carattere: mi rifiuto di credere che le cose non cambino se ci metti impegno. E lo sport ha reso visibile questa verità — non solo per me, ma anche per gli altri.
Pazienza
Quanto dovrebbero durare davvero le cose?
Da dove vengo io, c’è un modo particolare di mettere insieme le cose. Non è costruire — è assemblare. Un assemblare che rispetta il tempo.
Un tempo mi lamentavo di quanto tutto richiedesse. Ma ora la vedo diversamente. Le persone stanno perdendo la pazienza, e questo lo dice qualcuno che la pazienza l’ha imparata solo di recente, attraverso lo sport. Ma qui non si parla di sport.
Si parla di una pazienza innata che credo la mia gente possieda. Un modo di aggiustare, di trovare spazi intermedi. Le cose passano dal provvisorio al duraturo.
Lo vedo soprattutto in campagna: niente sembra generico. Tutto sembra personale — la scelta di qualcuno, la soluzione di qualcuno, un pensiero diventato materia. E questo mi commuove.
È una sorta di architettura provvisoria — non solo edifici, ma tutto: come si organizza lo spazio attorno a una casa, a volte la casa stessa.
Non si tratta di sostituire.
Non di consumare.
Si tratta di trovare soluzioni permanenti, assemblate con cura, pazienza, finché durano.
ENG
For her first solo exhibition in Milan, SAGG Napoli turns to the subject of addiction, following several years of working with archery as both a physical discipline and a conceptual practice. Since 2020, the artist has explored archery not only as a sport but also as a framework for thinking about focus, endurance, and the confrontation between body and mind. In this new body of work, SAGG Napoli extends that inquiry into the terrain of memory, pain, and relapse — mapping how personal struggle can be transformed into a language of resilience and attention.
“My memory? Don’t trust it. Pain’s been playing it, remixing the truth until I can’t tell what happened and what I only feared might.”
I’ve been struggling with memory, so I write everything down. I take pictures of almost everything.
It’s become a discipline: the discipline of contradiction, or maybe the discipline of working on oneself through contradiction.
I had to work on addiction. I had to learn which addictions I could live with, and which I had to cut out. It’s an ongoing process. Sometimes I just sit and watch myself being a version I’m not proud of. But eventually I tackle it. Because the truth is: we do have the strength to work on ourselves. Sometimes it’s about gathering energy. Sometimes it’s about gathering knowledge. Sometimes it’s about leaning on a supportive system. Sometimes it’s about accepting relapse. And sometimes it’s about admitting that we don’t yet have the right tools.
It’s very human — once you’ve reached a stage where you feel good — to want to believe you’ve “arrived,” that the work is finished. But I don’t even wish it were like that.
There’s nothing more humbling than knowing you’ll never fully get there, that maintenance itself is a kind of work, ongoing and active.
The good news: it does get easier. Humans are incredibly adaptable — if we want to be.
One thing I still can’t get used to, though, is pain. For me,
pain has always been a catalyst. Part of it is my personality: I refuse to believe things won’t change if you put in the work. And sport made that truth visible — not just for me, but for others too.
Patience
How long should things last, really?
Where I’m from, there’s a way of putting things together. It’s not building — it’s assembling. An assembling that respects time.
I used to complain about how long everything took. But now I see it differently. People are losing patience, and this comes from someone who only learned patience recently, through sport. But this is not about sport.
It’s about an innate patience I believe my people have. A way of adjusting, of finding in-between spaces. Things shift from provisional to lasting.
I see it especially in the countryside: nothing feels generic. Everything feels personal — someone’s choice, someone’s solution, a thought made material. And it moves me. It’s a kind of provisional architecture — not just buildings, but everything: how you arrange the space around a house, sometimes the house itself.
It’s not about replacing.
Not about consuming.
It’s about finding permanent solutions, assembled carefully, patiently, until they last.
Photo credits Michela Pedranti